venerdì 27 settembre 2013

Lettera di Marco Sacchi (seconda parte-1)

EPIDEMIA REPRESSIVA Quest’affermazione potrebbe apparire un’esagerazione, ma non lo è. Se si pensa che solo nel periodo che va Genova 2001 fino al 2005 si sono avute: 9.000 persone sottoposte a procedimenti penali per aver rivendicato la soddisfazione dei propri diritti (come manifestare contro la guerra imperialista). Più della metà delle persone sottoposte a procedimento penale sono lavoratori: 4.450 tranvieri, 310 forestali precari calabresi,1240 operai delle acciaierie di Terni, 250 operai della Fiat di Termini Imerese e Cassino, 45 dipendenti dell’ALITALIA. A quanto pare, attualmente siamo arrivati a 17.000 denunce accumulate, ed è sicuro che tutto ciò è destinato a crescere. Girano a proposito da parte di settori paraistituzionali proposte del tipo di un’amnistia sociale. È chiaro che come sindacato, che per quanto piccolo, siamo sempre un’organizzazione di massa, dobbiamo affrontare questo problema in maniera elastica. Però non si può non porre in evidenza che una proposta come l’amnistia per quello come viene presentata, è sempre un atto di pacificazione sociale; un atto volto a “sanare” gli effetti penali-repressivi di una situazione sociale e politico, ma che pretende anche la soluzione. O più realisticamente, la sua composizione entro i recinti istituzionali, ed è ciò che tende le forze promotrici di questa proposta. Tutto questo non deve sorprendere: la libertà di sciopero e di associazione alla classe operaia non è stata certamente regalata. In una società divisa in classi, una classe subalterna, che quindi non detiene il potere, riesce con la lotta a strappare alla classe dominante una concreta libertà, anche se parziale, e sempre in costante pericolo che le sia nuovamente tolta. Questo significa che quando si parla di conquista di concrete libertà in regime borghese, queste non possono che essere libertà che la classe soggetta strappa alla classe dominante, anche se parzialmente e anche se possono essere rimesse in discussione.

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