giovedì 28 novembre 2013

Ancora sul nano (articolo preso in rete)

Sento in giro, da tempo, un mantra esilarante: “Berlusconi va sconfitto politicamente, non a livello giudiziario”. Una frase così banale e furbina da aver trovato spazio tanto tra le labbra di Renzi quanto in quelle di De Gregori, grande artista ma politicamente aguzzo come un fagiolo borlotto. Tali intellettuali, di solito, aggiungono che “non si esulta per le sentenze, occorre avere rispetto di magistratura e condannati”.
Allora, chiariamo: 
1) La legge è legge, a prescindere. Non si tratta di esultare: si tratta di applicarla. Se io evado il fisco, magari tramite un arci-dimostrato “meccanismo fraudolento di evasione”, mi condannano. E se mi condannano non è giustizialismo: è giustizia.
2) Senza amnistie, prescrizioni, depenalizzazioni e quintali di leggi ad personam, Berlusconi sarebbe già stato condannato per falsa testimonianza, corruzione giudiziaria, maxi-tangenti, falso in bilancio, appropriazione indebita, eccetera (le amicizie coi vecchi boss della mafia fingo di dimenticarle. In fondo son buono). 
3) Se uno aspetta che Berlusconi venga sconfitto “politicamente” dal Pd, che peraltro non ne è avversario bensì alleato e portaborse, facciamo notte. 
4) Non ho alcun rispetto per chi da vent’anni paralizza, rincoglionisce e distrugge questo (teoricamente bellissimo) paese. Finiamola con questa melassa subdolamente bipartisan: se io ho davanti un Gasparri, non ci vado poi a cena e “famose du’ spaghi”. Il rispetto si guadagna, non si esige. Che tu sia “compagno” o “avversario”. Io avevo rispetto di Monicelli o Montanelli, per questo non posso averlo per le Biancofiore.
5) Quando un kapò cade (o così sembra: resterà sempre lì e in tanti lo voteranno ancora), non è mai un brutto giorno. E dunque si “festeggia”. O anche solo ci si sente più sollevati. Il politicamente corretto lo lascio ai chierichetti del nulla, tutta gente che mette il silenziatore emozionale a se stessa anche quando ha un orgasmo. 
E dunque, e alfine, e ora più che mai: Vamos.

mercoledì 27 novembre 2013

The end..... fine della seconda repubblica...........

By by nano malefico, comunque c'è poco da festeggiare.... all'orizzonte si affaccia già un velenoso nemico del popolo...............il suo nome è Matteo Renzi il postcursore del nano.
A questo punto basta con la pazienza.... basta con il buonismo... l'unica via è la lotta armata!
Il motto non sarà più "se vedi un punto nero spara a vista" ma sparare ad un democristiano o ad un renziano non è reato!

martedì 19 novembre 2013

Quel porco democristiano!

Cipollino Renzie conferma le sue ambizioni: "Tutti i politici a un certo punto devono farsi da parte. A me, dopo, piacerebbe insegnare o diventare conduttore tv". Renzie è in politica dal 1999. Cosa aspetta? Potrebbe iniziare come controfigura di Crozza.
"Nel 1999 segretario provinciale del Partito Popolare Italiano. Nel 2001 coordinatore de La Margherita (do you rememberLUSI, ndr?) fiorentina, nel 2003, segretario provinciale. Tra il 2004 e il 2009 è presidente della Provincia di Firenze (una di quelle che dice di voler abolire, ndr). Il 22 giugno 2009 viene eletto sindaco di Firenze (sindaco ombra, il sindaco che non c'è, ndr). Nel 2012 la Corte dei conti ha apertoun'indagine sulle spese di rappresentanza effettuate dalla Provincia durante il mandato di Renzi, che ammontano a circa 600 000 euro.da Wikipedia

lunedì 18 novembre 2013

Il ritorno alla Lira (di Alberto Bagnai)

Che nell’euro così com’è molte cose non vadano nessuno ormai lo contesta. Il dibattito si sposta su come riformare la moneta unica o come abbandonarla. Quest’ultima opzione suscita grandi timori, non tutti fondati. Prima di parlarne, osservo che il punto dirimente è quello politico, non quello tecnico. Faccio un esempio: per i tedeschi entrare nell’euro ha significato abbandonare una valuta forte, il marco. Perché questo non ha causato panico? Semplicemente perché si era raggiunto un consenso intorno all’idea che l’euro avrebbe comunque portato benefici. Allo stesso modo oggi per gli italiani tornare alla lira significherebbe abbandonare una valuta forte, l’euro. Se però ci si convincesse, a torto o a ragione, dei benefici di un’uscita dall’euro, si creerebbero le condizioni politiche per una transizione senza panico.
Come ho spiegato ne Il tramonto dell’euro, l’obiezione secondo cui l’uscita è impossibile perché i trattati non la prevedono è infondata. La convenzione di Vienna stabilisce che un trattato può essere risolto, anche in assenza di clausole espresse, quando mutino i presupposti in base ai quali esso è stato concluso (è il principio rebus sic stantibus). L’attuale disastro fornisce una base giuridica sufficiente per un recesso. Lo ammette la stessa Bce in un documento del 2009.
Un altro principio è quello della Lex monetae: uno stato sovrano ha il diritto di decidere in quale conio sono definiti i contratti che cadono sotto la sua giurisdizione. Nel nostro codice civile questo principio è disciplinato dagli articoli  1277 e seguenti. L’uscita avverrebbe quindi tramite una ridenominazione in nuove lire dei contratti regolati dal diritto italiano. A quale cambio? L’opzione più semplice da gestire è che si usi un cambio uno a uno. Lo stipendio passerebbe da 1500 euro a 1500 nuove lire, la rata del mutuo da 500 euro a 500 nuove lire, ecc.
Ma allora non cambierebbe niente? No, qualcosa cambierebbe: il passaggio al nuovo conio sarebbe seguito da un riallineamento del cambio sui mercati valutari. Una rivalutazione dei Paesi «forti» e una simmetrica svalutazione della nuova lira, che restituirebbe respiro al nostro export con effetti positivi su reddito e occupazione.
La svalutazione non ci schiaccerebbe sotto il costo delle materie prime? Non è detto. Secondo gli studi più recenti (li trovate nel mio blog, bagnai.org), il riallineamento atteso è dell’ordine del 30%, distribuito lungo l’arco di almeno un anno. Certo, in capo a un anno le materie prime costerebbero  un 30% in più. Ma le materie prime sono solo una componente del costo del prodotto finito. Ad esempio, il riallineamento del cambio non influirebbe sul costo del lavoro in valuta nazionale.
E poi, chiedo, un imprenditore preferisce pagare un po’ di più le materie prime, ma ricominciare a fatturare, o essere «protetto» dalla valuta forte che però gli impedisce di vendere all’estero? I tanti suicidi cui assistiamo danno una risposta fin troppo eloquente.
Nel caso dei carburanti, poi, la componente fiscale è preponderante. Per questo motivo si osserva che solo un terzo di una svalutazione si traduce in un incremento del prezzo alla pompa. Con una svalutazione del 30%, l’incremento atteso del prezzo alla pompa sarebbe di circa il 9%, distribuito in più di un anno (ne abbiamo avuti di maggiori con l’euro).
Secondo gli studi occorre un anno perché il 36% di una svalutazione si trasferisca sui prezzi interni. Ha torto chi dice che se svalutassimo del 30% saremmo tutti più poveri del 30% in una notte! Del resto, da un anno a questa parte l’euro ha guadagnato circa l’8% sul dollaro. Vi sentite molto più ricchi? No, perché la spesa di tutti i giorni non la fate negli Usa, ma in Italia.
D’accordo, si obietta, ma comunque il debito estero andrebbe pagato in valuta forte, e saremmo schiacciati dall’onere del debito! Non è corretto. Solo i contratti regolati dal diritto estero subirebbero questa sorte. Non ricade fra questi la maggior parte dei titoli pubblici. Va bene, ma allora i mercati, penalizzati dalla svalutazione, non ci isolerebbero, rifiutandoci altro credito? Non è detto. Molti avrebbero voglia di tornare a investire in un paese che riprendesse a crescere, e se ora abbiamo bisogno di capitali esteri è perché l’austerità di Monti e Letta ha distrutto reddito, risparmio e produttività degli italiani.
Ma (si obietta) la «liretta» sarebbe attaccata dalla speculazione! Siamo proprio sicuri? Quanto più la lira perdesse di valore, tanto più le merci italiane diventerebbero a buon mercato. Le banche centrali dei nostri concorrenti starebbero quindi ben attente a evitare un eccessivo deprezzamento della nuova lira.
Il discorso andrebbe certo approfondito, ma una cosa spero emerga: viste alla luce della razionalità economica, molte obiezioni sollevate per incutere terrore agli elettori perdono vigore. È giunta l’ora che la lucidità e la valutazione dell’interesse del Paese prevalgano sull’emotività e su un malinteso «sogno» europeo.

di Alberto Bagnai


giovedì 14 novembre 2013

Renzi il peggior nemico della Sinistra e dei lavoratori

Siamo onesti: con Renzi il centrosinistra sbancherebbe. E benché il nostro abbia già un grande futuro alle sue spalle, rimane nondimeno in grado di accalappiare ragguardevole consensoIl successo alla Festa Nazionale del Pd ne è la riprova  e, in generale, basta anche soltanto un rapido sondaggio qua e là, tra persone che si conoscono o s’incrociano, per vedere che sì, ‘purtroppo’ molti l’apprezzano e non pochi lo vorrebbero a Palazzo Chigi.
Dico ‘purtroppo’, perché  non me ne vogliate  ma il successo di Renzi è più che altro sintomo dell’inestirpabile infantilismo politico che rende gli elettori di questo paese (non tutti, per carità, ma comunque troppi) degli allocchi un poco fessi e facilmente adescabili, pronti ad abbracciare, non appena se ne dia l’opportunità, l’ennesima suggestione conformistica purché sia verniciata a nuovo.
Siamo seri: Renzi la Giovane Marmotta è in realtà un Gattopardo precoce: il vecchio che avanza (o, se preferite, il suo eterno, immobile ritorno). Altro che ricambio generazionale: sotto il pelo (che non perde ma infoltisce) c’è la solita sbobba di sempre: un democristiano fintamente laico, quantomai proclive alle lusinghe dei poteri forti, assai volonteroso (secondo il peggior liberismo) quando si tratta di rivedere  ovviamente: al ribasso  i diritti dei lavoratori, mentre invece nicchia, farfugliando imbarazzanti slogan populistici, quando gli si chieda di tutelarli.
Vale anche per lui il programma del suo finanziatore, l’altrettanto rampante Davide Serra: “Rendi licenziabili tutti quelli sopra i 40 anni. Così magari i giovani avranno una possibilità: costano meno e, lavorando, un domani potrebbero avere una pensione. Il mercato del lavoro è troppo rigido”. Cioè:meno garanzie e meno diritti per ottimizzare i profitti e rendere più ‘agile’ il mercato. Soluzione peraltro ovvia per uno che, come l’Aspirante Renzi, ambisca a replicare Blair il quale, tra i primi e più deprecabili alfieri della non-sinistra travestita da sinistra, abolì alacremente anche la più minuta sopravvivenza del fu glorioso welfare inglese e  Kosovo tacendo  operò affinché la Gran Bretagna s’impelagasse mani e piedi in due conflitti dalle conseguenze nefande, prendendo parte alle rispettive invasioni dell’Afghanistan e dell’Iraq volute da Bush, o meglio: dai suoi criminosi manovratori.
Oltre a ciò, mettere in fila i ruzzoloni onanistico-propagandistici di Renzi La Qualunque è come sparare sulla Croce Rossa: dall’appoggio a Marchionne “senza se e senza ma” alla ‘merenda’ arcoriana con Berlusconi, per poi passare al tête-à-tête fiorentino con Briatore e chiudere (naturalmente al “top del top”) col Ponte Vecchio sprangato ai comuni mortali dacché ‘imprestato’ alle Ferrari in passerella. (Ah, dimenticavo l’elogio del merito pronunciato da Maria de Filippi, con conseguenti sfarzi fotografici su Chi dove l’ex-giovane, a dire il vero già un poco raggrinzito  lo sguardo da sbruffone, tra l’arcigno e il navigato  posa da Fonzie fuori tempo massimo, insaccato nel suo bel giubbino in pelle lustra mentre, novello Elvis-the-pelvis, arpiona coi pollici uncinati i passanti inguinali delle brache. Tra il siparietto per dementi messo in scena da Amici e la susseguente investitura su rotocalco, veramente, c’è di che scompisciarsi o disperare.  Non voterei Pd manco sotto tortura, ma vien da dire (all’apice dello scoramento): “aridatece D’Alema”! Preferisco pur sempre un rottame patetico rispetto a un rottamatore che pare già un ferro vecchio ancor prima di mettersi alla pressa) .
In sintesi: altro che statista in fasce, Renzi è una specie di pigmeo della politica, il riciclato pericolosamente latente e perciò doppiamente retorico  dei suoi presunti avversari di partito, quelli che a suo dire vorrebbero fargli le scarpe mentre  guarda un po’  già l’hanno promosso a comandante in pectore col precipuo scopo di salvare se stessi (fateci caso: è la nuova strategia di Baffino, nonché la dimostrazione  ce ne fosse mai stato bisogno  che Renzi è perfettamente organico al partito che dice di voler riformare).