Intervento di Paolo
Becchi, Professore ordinario di Filosofia del Diritto presso la facoltà
di Giurisprudenza dell'Università di Genova: "Il 18 Brumaio di Napolitano I e il M5S"
"Ci
avviciniamo al termine: scadenza del mandato presidenziale di Napolitano, e fine
della sedicesima legislatura dell’Italia repubblicana, spezzata dal passaggio da
Berlusconi a Monti. Eppure
si lavora per continuare a
“bloccare” il sistema, nonostante – e forse proprio attraverso
– le imminenti scadenze, le imminenti elezioni. Napolitano dichiara che
continuerà a “
vigilare” sul rispetto degli impegni presi nei confronti
dell’UE. Re Giorgio non sarà più Presidente, ma lascia un’eredità al suo
successore (e chi potrebbe essere, se non Monti? Ciampi fece un cursus honorum
del genere: da Presidente del Consiglio a Capo dello Stato).
Le
elezioni che si terranno – sembra dire il Presidente della Repubblica – non
contano: tutti i partiti dovranno comunque accettare la continuità del
programma del governo Monti. Le elezioni dovranno servire (paradossalmente) ad
assicurare la continuità di un governo che continua a presentarsi come
esperienza “
a tempo”. Monti insiste nel dire che il “
governo
tecnico” è stata una “
parentesi”: "
L’esperienza del governo
tecnico è limitata nel tempo […]. Superata l’esperienza del governo tecnico
resterà l’eredità dell’importanza delle competenze nell'attività politica".
Potrà anche non esserci, forse, un “
Monti-bis”, ad una condizione: che
ciò possa favorire il mantenimento di quel “
blocco” costituzionale
fondato sull’intervento diretto del Presidente della Repubblica e
sull’allineamento dell’Italia all’asse europeo - a cui non possiamo che dare il
nome di Terza Repubblica -.
Continuiamo pure a chiamare quello di
Monti un “governo tecnico”, sapendo che si tratta di un
eufemismo: non esiste, in tutta la storia repubblicana, un governo
tecnico durato quasi una mezza legislatura . I governi tecnici della prima
repubblica venivano chiamati “
balneari” perché consentivano in breve
tempo – lo spazio, appunto, di una vacanza al mare – di ricompattare la stessa
maggioranza , modificando qualche equilibrio interno. Ciò che è avvenuto con
Monti non ha nulla a che vedere con un “
riposizionamento” della
maggioranza: al contrario, esso ha spostato e rifatto una maggioranza. Il suo è
il primo governo della Terza Repubblica.
Casini, di recente, ha sostenuto il
“
passaggio” a questa nuova forma di governo. Dopo aver infatti
dichiarato: "
Per noi dopo Monti c'è Monti. Il cammino non va
interrotto", ha spiegato il senso della sua affermazione: "
Per noi
evocare Monti significa dire qualcosa che va ben oltre il nome del presidente
del Consiglio". Non è un “
nome” ad essere in gioco, da qui al
prossimo Aprile, ma un “
sistema politico” preciso, definitosi negli
ultimi due anni.
Occorre dunque fare un passo indietro,
alla “strana” estate del 2010. In un mese, dietro lo scontro con Fini – e lo
scandalo giornalistico della “
casa di Montecarlo” –, si risolse allora
l’autentico e reale conflitto politico: quello tra Berlusconi ed il Presidente
della Repubblica Napolitano. A fine agosto, fu Berlusconi ad uscire sconfitto, a
cedere di fronte alla ferma posizione del Capo dello Stato di non sciogliere
anticipatamente le Camere dopo l’estate. Il Presidente del Consiglio perdeva,
così, il controllo del rapporto tra Governo e Parlamento, nonché della propria
maggioranza. Si veniva ad erodere, progressivamente, il meccanismo fondamentale
della forma di governo parlamentare, fondato sul rapporto fiduciario
Parlamento-Governo. Nel “
parlamentarismo razionalizzato” disegnato
dalla nostra Costituzione e definitosi, dopo il ’93, con l’elezione
sostanzialmente diretta del Capo del Governo, infatti, la fiducia significa
anzitutto la necessità che il programma del Governo possa essere attuato e
realizzato attraverso il Parlamento, con la conseguenza che, se tale attuazione
entra “
in crisi”, il Governo deve avere la possibilità di sciogliere le
Camere e ricorrere nuovamente alla consultazione elettorale.
Nell’agosto 2010 questo “congegno” è stato bloccato dal
Presidente della Repubblica, che è intervenuto dichiarando di voler
impedire lo scioglimento del Parlamento sino alla fine della sua legislatura.
Ciò non era, certo, sufficiente a provocare le dimissioni di Berlusconi, ma ne
costituiva la premessa necessaria: si obbligava, infatti, il Presidente del
Consiglio a governare senza poter disporre di alcuno strumento di pressione
reale sulla propria maggioranza parlamentare. Soltanto questo spiega quella
concitata “compravendita” di deputati (spiega, cioè, le defezioni dei
“frondisti” del Pdl, la fuga degli “
scajoliani”, le continue
“
conte” dei numeri, spiega Scilipoti e Calearo) che, tra ottobre e
dicembre 2011, salvò il Governo dal voto di sfiducia ma che fu, al contempo,
l’ultimo atto prima della sua fine.
Occorreva, dunque, chiudere
l’esperienza Berlusconi. Ed è di un anno più tardi – ancora in estate –
la mossa successiva: l’improvvisa “
follia controllata” dello spread,
che inizia a salire nei primi giorni di luglio (244), poi ridiscende, ed a
partire da agosto ricomincia ad impennarsi, senza più fermarsi, fino a
raggiungere il picco nella seconda settimana del novembre 2011(quota 553).
Più degli scandali sessuali, lo spread segnava la fine di
Berlusconi, in quanto minava alle fondamenta il suo potere economico ed
i suoi stessi interessi aziendali. Berlusconi rassegnava così le sue dimissioni
nascondendole come un atto di responsabilità nell’interesse del Paese di fronte
alla crisi economica ed alla necessità di adottare soluzioni radicali e di
emergenza. In realtà, la sua uscita di scena è dipesa da un rovesciamento
politico dei rapporti tra Governo e Presidente della Repubblica, da un conflitto
acuto – ma silenzioso – tra due poteri o, più correttamente, tra due diversi
modelli costituzionali: l’evoluzione del sistema parlamentare verso il
“premierato”, da una parte (Berlusconi), ed il suo rovesciamento in senso
“
presidenziale”, dall’altra (Napolitano). Le “
consultazioni”
aperte da Napolitano dopo le dimissioni di Berlusconi corrispondevano soltanto
in apparenza alla “prassi costituzionale” tipica della prima Repubblica. Il
sistema, infatti, era già stato “bloccato” l’anno precedente: non si sarebbe mai
andati alle elezioni, e la nomina di Monti a Senatore a vita anticipava, ancora
con Berlusconi Presidente del Consiglio, la formazione di un nuovo Governo.
E con la nomina di Monti, si è definitivamente compiuto il passaggio
al “Governo del Presidente”, una stagione politica inedita nel
nostro Paese. Un Governo legittimato politicamente dal Capo dello Stato, la cui
linea di azione viene dettata dall’esterno, dagli interessi economici di
Bruxelles. Vengono così a coincidere, finalmente, le due forze fondamentali che
in questi due anni hanno cambiato la nostra Costituzione con un atto di forza,
nel rispetto formale della legalità ma senza alcuna legittimazione democratica:
la forza politica del Capo dello Stato, e la forza economica di quella
“
dittatura europea” di banchieri e finanzieri, appartenenti ad
esclusivi clubs e gruppi di decisione e pressione. Per due anni, il Governo si
impone a forza di decretazioni d’urgenza e di una disciplina “
bulgara”
imposta al Parlamento.
Sembra che il “colpo di Stato” abbia
funzionato. I partiti tentano di riposizionarsi, ma continuano a
perdere credibilità e consensi. Crollano il Pdl e la Lega Nord. Il Pd pensa di
potersi inserire in questa “terra di nessuno”, eppure si trova in scacco: o con
Monti o contro Monti, anzitutto. Non c’è altra scelta. Il congegno sembra dunque
funzionare. Ma non è così.
I “tecnici” non hanno previsto
quello che doveva necessariamente accadere: che il popolo italiano si
ribellasse, divenisse finalmente rivoluzionario, comprendesse le umiliazioni a
cui questa “Terza Repubblica” lo sottopone. Doveva accadere che un vero
movimento di opposizione al potere, al sistema di Bruxelles, alla speculazione
parassitaria, alla moneta unica, minacciasse la “pace” politica imposta a colpi
di spread. Si lavora, dunque, per riparare a questo “errore di previsione”. Per
fare in modo che le prossime elezioni assicurino la continuazione della “Terza
Repubblica”. E, per farlo, è necessaria una cosa soltanto: impedire che il voto
si converta in opposizione al sistema di potere; neutralizzare, cioè, il
MoVimento a 5 stelle, che oggi incarna l’unica autentica protesta al
potere, le uniche parole d’ordine per restituire dignità al popolo
italiano: fuori dall’euro e dall’Europa, affermazione di una autentica
democrazia al posto di una “casta” tecnocratica di politici e
banchieri.
Come neutralizzare, dunque, il MoVimento? Le
tecniche di “
manipolazione” sono quelle “classiche”, dalle più
elementari a quelle più complesse.
Prima di tutto, creare
spaccature
la suo interno: il “
fuori onda” in televisione di Favia di
questi ultimi giorni ne rappresenta un esempio talmente banale da non dover
neppure essere commentato (e già, del resto, pare si sia scoperto che lo “scoop”
sarebbe stato “concordato” da Favia). La stampa si schiera: “Repubblica”, che ha
progressivamente sposato la causa della Terza Repubblica, ha iniziato a guidare
la campagna di diffamazione contro il MoVimento 5 Stelle.
Seconda tecnica:
definirlo, qualificarlo,
ricondurlo ad una “categoria” politica
già nota e dispregiativa. Si veda, ad esempio, il recente intervento di
Monti: «L’Europa è minacciata dai populismi». E spiega: «c’è il rischio che
all’interno dell'Unione Europea, mentre la costruzione dell'Europa si
perfeziona, le difficoltà dell'Eurozona facciano emergere una grande, crescente,
pericolosa sensibilità nelle opinioni pubbliche dei vari paesi con tendenze
all’antagonismo». “Populismo”, “tendenza all’antagonismo”, “antipolitica”: si
ricorre a definizioni del tutto vuote ma connotate emotivamente per squalificare
una forza politica reale, autentica.
Terza tecnica:
“anticipare” i risultati del voto, pronosticarli, prevederli,
in modo da influenzarli e determinarli (è la tecnica chiamata della
“profezia che si autoadempie”, o che “si autoavvera”, tipica della speculazione
finanziaria). Da qui i “sondaggi” – basti l’esempio di quello realizzato
Mannheimer il 9 settembre –: “italiani tentati dal governo tecnico”, governo di
solidarietà nazionale, “strana” maggioranza, etc.
Quarta tecnica:
controllare i meccanismi “tecnici” che disciplinano il
voto, ossia lavorare sulla legge elettorale e sul periodo in cui tenere
le elezioni. La modifica o meno della legge elettorale si gioca tutta sulla
necessità di impedire al MoVimento 5 Stelle di divenire una forza parlamentare
attiva.
Queste le tecniche che vediamo oggi e continueremo a vedere
all’opera nei prossimi mesi, con l’obiettivo di soffocare l’opposizione degli
italiani a questa “svolta” costituzionale dettata dal Presidente della
Repubblica e dall’Europa. Ed il MoVimento a 5 Stelle, come potrà reagire? Se
esso è, come davvero sembra, una forza reale nel Paese, se esso davvero
rappresenta ed incarna le istanze della di una fetta sempre più consistente di
italiani e di giovani destinati ad un futuro di miseria,
nulla potrà
fermarne la forza elettorale. Il problema, se mai, è un altro.
Eleggere dei rappresentanti in Parlamento, non significa necessariamente
“vincere” la propria battaglia politica. La democrazia parlamentare tende per
sua natura al negoziato, al compromesso, alle “manovre”: c’è sempre il pericolo,
il rischio, di restare intrappolati e neutralizzati da coalizioni di partito e
maggioranze complesse, trasversali, che riescano ad assicurare la continuità del
nuovo “sistema” anche contro un MoVimento ben rappresentato alle Camere. È
questo che il MoVimento deve evitare: di oscillare, quale semplice forza
d’opposizione, tra le correnti che sosterranno una soluzione in continuità con
l’asse Napolitano-Monti.
Il MoVimento non deve, in altri termini, essere
soltanto un’opposizione, una forza di protesta, un’espressione del dissenso e
della “delusione” degli italiani nei confronti dei partiti. La delusione,
l’astensione, il voto di protesta non impediranno, infatti, da sé soli, il
consolidamento della “Terza Repubblica” (la quale, anzi, si è in larga parte
legittimata, con l’intervento del “custode” della Costituzione, proprio grazie
al “vuoto” dell’astensionismo e del dissenso ai partiti politici allora al
governo).
È vero: in Parlamento,
il MoVimento non potrà che svolgere
il ruolo dell’opposizione, ma ciò non dovrà
“
istituzionalizzarlo”: non dovrà perdere la sua carica intransigente,
anti-sistema. Dovrà essere nell’aula ma sempre fuori, al di là del Palazzo. Il
MoVimento 5 Stelle ha ora bisogno di una dottrina positiva e definitiva. Non
sarà un partito proprio perché non sarà destinato al compromesso. I partiti
hanno ideologie astratte, che servono loro come la carta da giocare sul tavolo
del negoziato politico. Le “
ideologie” sono fatte per essere
compromesse con altre “ideologie”. I movimenti non hanno ideologie: hanno un
bersaglio, un obiettivo. Per questo
il MoVimento 5 Stelle non può, per
definizione, “stringere alleanze”. Ed è proprio per tentare di
snaturarlo che i giornali hanno cominciato ad ipotizzare tattiche elettorali –
attraverso l’alleanza con l’Idv, o Sel – che il MoVimento non potrà mai far
proprie. I movimenti sono a senso unico: non possono perdersi per strada, non
possono scegliere di “girare” a destra o a sinistra. Per questo non si possono
compromettere. Per questo
il MoVimento 5 Stelle deve rimanere
movimento, deve essere sempre in divenire, non deve fermarsi mai. Per
questo, quale che sarà il risultato elettorale del 2013, non dovrà ripensarsi
come forza di opposizione o di maggioranza.
Non è questa la sua natura, non
è questo il suo bersaglio.
Ciò che dovrà realizzare è portare l’Italia
fuori da questa trappola per topi – da questo sistema politico ed
economico dettato dall’Europa –, e restituire agli italiani la loro sovranità. "
Paolo Becchi